“Vecchi edifici, nuovi abitanti” è lo slogan di Homers, una società benefit e PMI innovativa che si occupa di accompagnare alla progettazione e alla realizzazione di cohousing.
Ma cos’è un cohousing?
Lo abbiamo chiesto a Mauro Beano, 26 anni, di Torino e tra i membri di Homers: «È una casa diversa da quelle che conosciamo normalmente – spiega -. Offre spazi privati, le unità abitative tradizionali, ma anche spazi in comune pensati per essere condivisi dalla comunità di persone che decide di vivere, insieme, in un dato edificio. A differenza degli spazi comuni che siamo abituati a immaginare, come le scale, l’androne, l’ascensore, nei cohousing ci sono altri tipi di luoghi comuni. Possono essere lavanderie, sale per le feste, cucine condivise. In poche parole, spazi per la comunità».
Come lavora Homers
La società, nata a Torino, si occupa di diverse fasi di realizzazione. Prima di tutto cerca edifici che possano andare bene per un progetto di cohousing: «Scegliamo strutture esistenti – precisa Beano – da recuperare e riqualificare. Non ci interessa costruire da zero, ma intervenire sull’esistente. Lavoriamo su vecchie fabbriche o vecchie cascine, per esempio. Ci sono tanti edifici che a cui ridare vita che hanno le caratteristiche giuste». Come, per esempio, una vecchia cascina in Barriera di Milano, quartiere di Torino, un tempo esterna al tessuto urbano della città e ora inglobata tra i tanti edifici che aspetta solo di essere portata a nuova vita.
«Non ci occupiamo solo di trovare gli edifici – chiarisce Beano – ma anche di trovare le persone interessate a vivere in questo modo nuovo. E poi ci occupiamo di formarli, di spiegare in che modo vivere bene, insieme in queste nuove abitazioni pensate per essere in parte condivise e per creare comunità».
Il processo di costruzione, degli spazi e delle relazioni tra futuri inquilini, è ugualmente importante. Finita questa fase si passa a quella del cantiere vero e proprio.
La rilevanza ambientale
Perché vivere in un cohousing può fare bene all’ambiente? Per chi lavora in Homers le risposte sono tante: «Lato tecnico e costruttivo, operiamo scelte di materiali ecologici e a basso impatto, come il legno dove possibile. Oppure scegliamo tecnologie rinnovabili, come i pannelli solari, per l’energia».
Poi c’è l’aspetto del recupero: «Riqualificare un edificio esistente, evitando di costruire in parti di città ancora non urbanizzate, permette di dare nuova vita a vecchi edifici, salvandone anche la storia. Ed evita di consumare altro suolo ancora libero da costruzioni. Spazi che possono essere utilizzati per altro, da aree verdi ad agricole o ad altre attività che facciano bene alle persone e a clima senza aumentare la presenza abitativa delle città».
Perché vivere in un cohousing?
È una domanda che probabilmente si fanno in tanti, anche perché la condivisione degli spazi e la vita di comunità non sono un approccio ancora così comune e diffuso nel nostro Paese.
«Dal punto di vista ambientale vuol dire modificare i propri consumi e stili di vita – spiega Beano -. Pensiamo al diverso impatto che possiamo avere sul clima se invece che possedere tutti un elettrodomestico coma una lavatrice lo abbiamo e usiamo in condivisione con altri. O agli acquisti di gruppo, come i GAS, per non parlare dell’opportunità del car sharing o del bike sharing. Noi di Homers pensiamo che vivere insieme faccia bene, che la comunità sia importante. E questo momento di emergenza sanitaria sta facendo ripensare a molti il proprio modo di vivere».
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